Come NON dovrebbe funzionare la Ricerca Universitaria

Pubblico la mia risposta ad un professore del Politecnico di Milano che, nonostante gli eventi del 28 giugno che mi hanno visto coinvolto, mi ha chiesto (dopo averlo già fatto in precedenza) se la mia azienda era interessata a sostenere economicamente una loro nuova Ricerca, con queste parole (citazione testuale dalla sua mail): “In cambio ovviamente potreste ottenere visibilità e portare eventualmente un vostro caso all’evento finale“.

Questo professore non è una mela marcia, è proprio il sistema nel quale è innestato che funziona così. Lui ne è solo un complice.

Considera una cosa normale che gli Osservatori di Ricerca, in cambio di denaro, mettano in luce chi li finanzia, e invitino sul palco i relatori delle organizzazioni che hanno pagato di più. Un argomento più o meno culturale, che non abbia un taglio troppo pacchianamente commerciale, lo si trova facilmente. Di solito basta portare un “case study”, anche se il “caso” è già arcinoto alla comunità, e non ha magari nulla di peculiare. Se poi il relatore non è capace di parlare in pubblico, o è noioso fino alla morte, non è certo una ragione per cui il moderatore possa o voglia ridurre il suo intervento. Gli interventi sono pagati e quindi hanno durata prefissata. Le domande dal pubblico sono benvenute, ma solo a patto che non mettano in cattiva luce i finanziatori (vedi video)

La priorità è salvaguardare la struttura stessa e chi ci lavora (“cerca di comprenderci: qui teniamo tutti famiglia” mi ha detto telefonicamente un suo collega!).

Peccato che questo modo di operare sia diametralmente opposto alla Vocazione dell’Ente stesso, cioè il miglioramento della società civile. In America la Ricerca sa inventare cose nuove, in Italia non riesce neanche a descrivere la realtà (salvo le eccezioni ovviamente, spero ne esistano!)

Ecco comunque la mia risposta:

Andrea,

Visto che ci chiedi una risposta, ribadisco la nostra posizione in merito al supporto finanziario dei vostri “osservatori”.

Crediamo nella cultura intesa come difusione del sapere e ricerca della verità e riteniamo che tali obiettivi non siano raggiungibili senza permettere, anzi sollecitare quando necessario, l’espressione del proprio pensiero nella massima libertà.

Se questo è valido per qualsiasi Istituzione Culturale degna di questo nome, desidereremmo poterlo pretendere per le Istituzioni in cui abbiamo quote di comproprietà. Il Politecnico rientra fra queste ultime, in quanto cittadini Italiani.

Il contegno del vostro istituto (la i minuscola non è un refuso) è stato invece totalmente inaccettabile e gravemente deprecabile.

Riteniamo di tutta evidenza che qualsiasi Istituto di ricerca o osservatorio perda totalmente di credibilità quando esso venga finanziato dalle organizzazioni che sarebbe chiamato a osservare in modo imparziale.

E che la vostra osservazione sia stata parziale e abbia omesso rilevanti aspetti del “mercato” per essere gradevole ai vostri sponsor non credo sia opinabile, dopo che la massima autorità italiana in materia, l’AGCOM, si è così espressa, 8 giorni dopo il mio intervento:

“servizi che certamente non possono essere classificati tutti come “interni di rete”, alcuni dei quali, invece, sono palesemente ascrivibili alla categoria dei servizi a sovrapprezzo. (…) contrastare efficacemente usi non corretti della numerazione.”

Mi auguro che ci rifletterete su.

Emanuele Preda
CEO – SMS Italia

L’incredibile risposta del professore è leggibile in questo post successivo.

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One thought on “Come NON dovrebbe funzionare la Ricerca Universitaria

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