Conviene di più affidare in concessione la gestione dell’acqua a società private, permettendo loro di percepire un profitto a remunerazione degli investimenti effettuati, o conviene di più che sia lo Stato a gestire direttamente questa risorsa?
L’obiettivo a cui vogliamo tendere è che la risorsa sia gestita nel modo più equo ed efficiente possibile. Come per casi analoghi (corrente elettrica, gas, telecomunicazioni…) vanno fissati degli standard minimi di servizio (es. obbligo di copertura del territorio, di allacciamento entro un certo tempo, di risoluzione di eventuali guasti entro un certo tempo, qualità minima della fornitura, e così via).
Cosa accade se questi standard minimi di servizio non vengono rispettati? Occorre stabilire chi ha il potere di controllare, quali sanzioni devono essere irrogate in caso di inadempimento, quali risarcimenti al cittadino/utente.
In piccolo, ecco i tre poteri: legislativo (regolamentare), esecutivo (attuare), giudiziario (controllare).
Ora, la Storia insegna che questi tre poteri, perché le cose funzionino effettivamente, debbano essere separati. A logica si comprende bene, infatti, che se il soggetto che attua ha anche il potere di regolamentare, regolamenterà in modo blando, così da rendersi il più semplice possibile l’attuazione; se ha anche il potere di controllare, nel caso non sia riuscito ad attuare quanto stabilito inizialmente, non effettuerà i controlli, o modificherà successivamente la regolamentazione in modo da risultarvi adempiente.
Dante lo spiega benissimo nel VI del Purgatorio, riferendosi al potere spirituale e temporale:
Soleva Roma, che ‘l buon mondo feo,
due soli aver, che l’una e l’altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.
L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l’un con l’altro insieme
per viva forza mal convien che vada;
però che, giunti, l’un l’altro non teme
“Perché una volta giunti, non si controllano più a vicenda”.
Intendiamoci: non basta separare i poteri e automaticamente le cose funzionano bene: le cose possono funzionare male lo stesso per un’infinità di motivi. Ma la Storia ci dimostra che congiungere i poteri è sempre un errore: ogni volta che i poteri sono stati congiunti, le cose sono degenerate con estrema rapidità.
Io, facendo tesoro del grande bagaglio di esperienza che mi fornisce la Storia, desidero che la gestione dell’acqua (e più in generale di tutti i servizi), per funzionare nel modo migliore possibile, sia gestita da soggetti diversi dallo Stato, in modo che lo Stato sia nelle condizioni migliori per esercitare le sue prerogative, di regolamentazione e di controllo.
Oltre al “bastone” (sanzioni), credo che un ulteriore stimolo a raggiungere la massima efficienza sia dato dal sapiente uso della “carota”, cioè dalla concessione di un profitto, proporzionale ai risultati raggiunti e agli investimenti effettuati. Il profitto è necessario perché, visto che sono necessari investimenti, nessuno li effettuerebbe a fondo perduto, senza poterne ottenere una remunerazione!! E io preferisco che gli investimenti provengano da tasche private piuttosto che dalle mie (gli investimenti statali li pago anche io con le tasse!). Se poi la presenza di questo profitto portasse a un aumento delle tariffe (fermo restando che lo Stato imponga una tariffa massima, a mia tutela), questo permetterebbe una spartizione meritocratica degli investimenti stessi, pagati maggiormente chi più usa (o spreca!) la risorsa, e meno da chi riesce a risparmiarla, e questo va a beneficio di tutti.
Quanto alla calmierazione dei prezzi, essa funziona solo se la risorsa è data in concessione a soggetti privati, che devono per forza riuscire a far tornare i conti, mentre lo Stato, visto che può fare ricorso alla fiscalità generale (cioè pescare dalle tasche dei cittadini) non ha alcuno stimolo per riuscirci, e infatti non ci riesce mai! Questo costo aggiuntivo, fra l’altro, non viene pagato, come sarebbe giusto, da chi è meno bravo a usare quella risorsa, ma da chi ha un reddito più alto, e dunque è stato più bravo a creare reddito. E questo sarebbe ulteriormente ingiusto.
Per tutti questi motivi, io NON andrò a votare al referendum, per dare il mio contributo democratico al fallimento del quorum.
Chi dice “piuttosto vota no, ma vai a votare” è infatti un fazioso sostenitore del sì, che cerca di portare con l’inganno gli ignoranti a far raggiungere il quorum, e con questo portando alla vittoria i sì, che sono ovviamente sempre la maggioranza .
A un referendum con quorum non esistono infatti “astenuti”: chi non ci va, è chiaro che non vuole abrogarla. Chi la vuole abrogare, ci va e vota sì.
Finchè esiste la regola del quorum, infatti, votare in qualsiasi modo (no, sì, scheda nulla o scheda bianca) porta più vicino il raggiungimento del quorum e dunque è un punto a favore del sì. Chi vuole il no, deve stare lontano dalle urne. Come farò io.
sottoscrivo tutto, con un pensiero triste…non sono troppo sicura che un gestore privato non utilizzi mezzi di collusione con il controllore pubblico…purtroppo non posso dimenticare il nostro corredo genetico italico…
Certo, ma l’alternativa è fra una collusione certa e irrimediabile (ogni soggetto è colluso con se stesso) e una collusione forse probabile ma non altrettanto certa.
Ritenerla altrettanto certa equivale a perdere completamente la speranza, che è un peccato capitale!